Il Taggin Up: filosofia, tecnica e impatto sul gioco.

Tattica per unire due mondi che storicamente si escludevano a vicenda: l’aggressività a rimbalzo offensivo e la solidità della transizione difensiva.
Il Taggin Up: filosofia, tecnica e impatto sul gioco.

Il Taggin’ Up è una filosofia difensiva nata per colmare un apparente paradosso della pallacanestro: come si può andare aggressivi a rimbalzo offensivo senza esporsi al rischio di subire il contropiede? Per decenni la risposta tradizionale è stata quella di sacrificare una parte del rimbalzo d’attacco, mandando subito due o tre giocatori a fare equilibrio difensivo nella propria metà campo. 

L’allenatore australiano Aaron Fearne, oggi capo allenatore dei Charlotte 49ers in NCAA e in passato guida dei Cairns Taipans in NBL, ha invece ribaltato questa logica: perché non utilizzare proprio l’aggressività al rimbalzo offensivo come strumento per bloccare la transizione avversaria? Da questa intuizione nasce il Taggin’ Up.

Il principio è semplice ma rivoluzionario. Su ogni tiro, il primo istinto del giocatore non è guardare la palla, ma trovare immediatamente il proprio avversario e “taggarlo”, cioè prendere contatto fisico con lui. Quel contatto iniziale diventa la chiave: impedisce al diretto avversario di lanciarsi subito in campo aperto e, allo stesso tempo, crea la possibilità di andare a rimbalzo offensivo se la posizione è favorevole. 

L’idea è quindi duplice: neutralizzare il contropiede e aumentare le chance di secondo possesso. 

Dal punto di vista pratico, il giocatore deve reagire al tiro entro una frazione di secondo ed il contatto deve essere immediato. A quel punto entra in gioco la lettura: se la posizione è interna, si attacca il rimbalzo; se invece l’avversario è già pronto a scappare, si "spezza" il suo movimento contenendolo mentre si rientra in difesa. L’errore da evitare è “giocare a metà”, cioè non taggare con convinzione né rientrare tempestivamente: in quel caso si rischia di non prendere né il rimbalzo né avere una transizione difensiva efficace.

Regole fondamentali

All’interno di questa tattica, tre tecniche sono particolarmente importanti: l’High Side, lo Scrumming ed il Flood the Middle

L’“High Side” (parte alta) è un posizionamento aggressivo che consiste nel collocarsi, al momento del tiro, tra il proprio uomo e il canestro che si deve difendere per chiudere immediatamente la linea di fuga verso il contropiede. In questo modo il difensore è già orientato verso la transizione e riduce i tempi di reazione.

Lo “Scrumming”, invece, rappresenta un’evoluzione più fisica del tag, ispirata direttamente al rugby e alla sua mischia ordinata (scrum). Dopo aver agganciato l’avversario, il difensore lo spinge verso il canestro avversario, guadagnando così spazio per sé e allontanandolo dalla possibilità di correre in campo aperto. È una forma di "lotta controllata" che, oltre a ridurre ulteriormente i rischi di transizione, aumenta le probabilità di conquistare il rimbalzo offensivo trasformando la situazione in un vero e proprio duello “50/50”.

“Flood the middle” significa letteralmente “inondare” il centro per rallentare l’avanzamento della palla. Nella conversione attacco-difesa ogni giocatore è accoppiato al proprio “tag”: il difensore sulla palla sta sulla palla e mette pressione, i difensori sul lato forte anticipano i passaggi in avanzamento mentre tutti gli altri creano un muro di corpi in mezzo al campo per sventare vantaggi derivanti da penetrazioni, passaggi in linea, tagli, drag e quant’altro.

L’impatto del Taggin’ Up sul gioco è significativo, specialmente in un'era dominata dal tiro da tre punti e quindi tante opportunità di rimbalzo. Le squadre che lo applicano bene riducono drasticamente i punti subiti in contropiede pur mantenendo numeri molto alti a rimbalzo offensivo. Non solo, perchè in caso di tiro realizzato e di rimessa dal fondo, la squadra che fa Taggin’up è già pronta a pressare in difesa perchè i giocatori che hanno “taggato” sono già accoppiati e teoricamente già in anticipo sulle aperture. Costringono inoltre gli avversari a una fatica psicologica costante: ogni possesso si conclude con contatto e lotta fisica, e chi è costretto a difendere sa che non potrà rilassarsi. 

Rischi inaccettabili e calcolati

Come ogni sistema di gioco, anche il Taggin’ Up non è privo di rischi. Non esiste la perfezione assoluta: alcuni errori sono considerati da Aaron Fearne del tutto inaccettabili, altri invece fanno parte dei rischi calcolati che la squadra deve essere pronta ad assumersi. La differenza tra le due categorie è fondamentale per capire l’essenza di questa filosofia.

I rischi inaccettabili sono quelli che minano alla base il sistema e lo rendono inefficace. Il primo riguarda il tiratore: dopo aver rilasciato il tiro non può limitarsi a guardare la palla, ma deve immediatamente accoppiarsi con il difensore che aveva fatto closeout su di lui, impedendogli di scappare in campo aperto. Nel Taggin’ Up, infatti, non esiste un giocatore designato che si occupa di fare “equilibrio” tornando indietro: ogni giocatore è responsabile di taggare l'avversario più vicino. Se il tiratore dimentica questo compito, si apre una falla pericolosa nella transizione difensiva.

Un altro errore inaccettabile è andare a rimbalzo senza preoccuparsi di taggare. In quel caso, se il rimbalzo non viene catturato, i giocatori non sono accoppiati e la squadra rischia di trovarsi in inferiorità numerica contro un contropiede lanciato. 

La stessa cosa vale per la posizione del corpo: stare in “Low Side”, cioè sotto al proprio uomo, è un istinto naturale che però va combattuto con disciplina. È facile cercare di scivolare dietro al tagliafuori dell’avversario per assicurarsi una posizione più comoda a rimbalzo o per evitare il contatto fisico dello scrumming, ma questo compromette la transizione. Senza l’High Side, se il rimbalzo non arriva nelle proprie mani, l’avversario ha la strada spianata verso il canestro.

Diversi sono invece i rischi calcolati, quelli che fanno parte del gioco e che una squadra deve accettare come prezzo da pagare per i vantaggi del sistema. 

Uno di questi è la possibilità di creare mismatch in campo aperto: siccome il principio è taggare l’uomo più vicino, può capitare che un lungo si ritrovi su una guardia o viceversa. Non è un problema, perché queste asimmetrie si possono aggiustare una volta che la difesa è schierata. 

Allo stesso modo, è inevitabile mettere in conto qualche fallo in più a rimbalzo: si tratta di un sistema aggressivo e fisico, dove il contatto è parte integrante. Sono falli da accettare, perché preferibili rispetto a quelli spesi a metà campo per fermare un contropiede, con il rischio aggiuntivo di incorrere in falli antisportivi.

Infine, c’è un rischio più sottile ma altrettanto reale: il calo di concentrazione. Il Taggin’ Up richiede intensità mentale e disciplina collettiva possesso dopo possesso. È naturale che nel corso di una partita possano verificarsi momenti di distrazione o leggerezza. In questi casi, però, il sistema prevede la risposta del gruppo: l’errore del singolo può essere coperto con lo sforzo corale della squadra, proprio perché la filosofia è costruita sulla responsabilità condivisa.

In definitiva, il Taggin’ Up non pretende infallibilità, ma distingue nettamente ciò che non è tollerabile da ciò che invece rientra nel gioco e va gestito con consapevolezza.

Conclusione

Nonostante ciò, i risultati hanno dato ragione a Fearne. Charlotte, con questa filosofia, è stata stabilmente tra le migliori squadre NCAA nel limitare i punti subiti in transizione, senza rinunciare a un’elevata produttività a rimbalzo offensivo. Lo stesso era accaduto ai Cairns Taipans in Australia e anche la nazionale femminile australiana. Il suo sistema è stato poi incorporato da alcuni coach europei che lo hanno adottato ed adattato con successo alle proprie caratteristiche, tra i quali è bene ricordare Tuomas Iisalo (oggi coach dei Memphis Grizzlies) nelle sue esperienze tedesche a Crailsheim e Bonn per poi diventare mainstream a Parigi e influenzare altri coach come il nostro Francesco Tabellini (il Taggin' Up è un elemento chiave nel suo relentless basket come spiegato in questo clinic per la FIP da recuperare assolutamente).

Il Taggin’ Up non è semplicemente una tecnica di rimbalzo ma significa trasformare il momento più vulnerabile del gioco – la transizione da attacco a difesa – in un’occasione per imporre fisicità, cambiare il ritmo e prendere iniziativa. Attraverso strumenti come l’High Side e lo Scrumming, ogni giocatore diventa allo stesso tempo rimbalzista e difensore di transizione. In questo modo la squadra riduce al minimo i rischi, massimizza i vantaggi e imprime una costante pressione sugli avversari.

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Postato da David Breschi

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Graphic & WebDesigner.
Allenatore di base.
Scrive di NBA per @lUltimoUomo.
Will Ferrell & John Belushi lover.