Coach Michele Carrea: Gestione del giovane nel passaggio dal Settore Giovanile a una squadra Senior

Aspetti tecnici e gestionali.
Coach Michele Carrea: Gestione del giovane nel passaggio dal Settore Giovanile a una squadra Senior

Giovedì 20 febbraio negli spazi del PalaCarrara, il Pistoia Basket Academy ha organizzato un clinic interno per gli allenatori di settore giovanile del pool di squadre associate, condotto dall’Head Coach della OriOra Pistoia Michele Carrea e moderato dal responsabile del settore giovanile Cristiano Biagini.

Michele Carrea, classe 82, è un allenatore di estrazione giovanile che ha iniziato la sua carriera di allenatore molto giovane, nel 2004 all’Urania Milano, per poi spostarsi a Casale Monferrato, Virtus Siena e Casalpusterlengo dove nel 2014 ha vinto lo scudetto U19. Nel 2015 debutta nei senior a Biella in Ledague dove rimane 4 stagioni prima di spiccare il volo per la Serie A a Pistoia la scorsa estate.

Coach Carrea apre l’incontro parlando della sua esperienza da allenatore che in 13 anni di carriera da professionista lo ha portato a cambiare idea e approccio in diverse occasioni su tecnici e gestionali; e che il presupposto dell’incontro non è una lezione tecnica, ma un meeting da cui uscire con delle idee e dei punti di vista in modo che ognuno dei presenti formi un opinioni dei concetti espressi.

Il coach parte definendo come fase di “affaccio” al basket senior la transizione che un giocatore in uscita dal settore giovanile affronta quando viene introdotto in una prima squadra. Il giovane deve fronteggiare un conflitto di competenze tra le richieste di un gruppo giovanile e le richieste di una squadra senior la cui proposta ed il grado di coinvolgimento sono irrimediabilmente differenti. 

Dopo il cappello introduttivo espone quali sono i requisiti, dal punto di vista di un allenatore senior, che deve avere un giocatore in affaccio, dividendoli in tre aree di competenza, in ordine di importanza:

  1. Requisiti comportamentali/attitudinali
  2. Requisiti fisici
  3. Requisiti tecnici

1. Requisiti comportamentali/attitudinali

Il primo requisito che deve avere un giocatore in affaccio è quello di essere pronto a far funzionare l’allenamento, senza far perdere tempo all'allenatore ed alla squadra. Un under che si affaccia alla prima squadra deve avere una soglia attentiva alta, ovvero la capacità di rimanere concentrato per tutta la durata di un allenamento, per non diventare di intralcio.

Uno dei compiti di un allenatore giovanile e senior, deve essere quello di allenare la soglia attentiva dei propri giocatori e portarla anche al limite se necessario: ad esempio Zelimir Obradovic, uno dei migliori allenatori di sempre, all’inizio di ogni suo allenamento propone/inventa esercizi che spesso hanno una richiesta fisica blanda ma richiedono massima concentrazione perchè servono ad allenare la soglia attentiva dei suoi giocatori.

Un giocatore allenato a restare concentrato è un giocatore su cui è possibile lavorare, che ha margini di sviluppo da poter esplorare.

Come allenare la soglia attentiva? Stressando i giocatori nell’attività sportiva, tenendoli impegnati e focalizzati anche con semplici stratagemmi, come ad esempio contare i canestri a voce alta nelle gare di tiro, oppure abituando i giocatori a comunicare in difesa: la capacità di comunicare e contare stimola ed allena l’attenzione. I giovani di oggi hanno un rifiuto istintivo a contare e/o comunicare, non necessariamente per timidezza, ma semplicemente perchè farlo implica la necessità di stare attenti.

Un giocatore che ha una soglia attentiva alta riesce a inserirsi in un contesto senior anche se la richiesta tecnica e tattica dell’allenatore di prima squadra è totalmente diversa rispetto a quella del suo allenatore Under 18 perchè è in grado di essere funzionale nel recepire e processare le indicazioni che gli vengono date.

2. Requisiti fisici

Il gioco si evolve in continuazione e la componente fisico/atletica ha un ruolo sempre più marcato nel basket di oggi. E’ indispensabile avere un “corpo da senior” per poter stare al passo di una pallacanestro sempre più fisica e veloce, cambiata anche nei regolamenti e nei metodi di gioco per interrompere il meno possibile il ritmo.

Allenare il corpo è un aspetto fondamentale per lo sviluppo dei giocatori perchè allenando solo la parte tecnica il rischio è quello di crescere buoni per la pallacanestro degli anni 60, ma non performanti in quella odierna. Ogni allenatore a livello giovanile, per produrre giocatori pronti e con corpo da basket senior deve dotarsi di competenze o di persone competenti per sviluppare la capacità fisiche ed atletiche dei giovani in uscita dal settore giovanile. 

Anche se può essere un approccio svilente per un allenatore - che vuol lavorare il 100% del suo tempo su questione tecniche o tattiche - allenare il corpo dell’atleta dovrebbe richiedere almeno un terzo delle ore settimanali dedicate agli allenamenti. Il lavoro da fare deve essere specifico, mirato e funzionale sul fisico, non basta simulare un lavoro atletico in fase di gioco.

Il basket oggi è uno sport che amplifica lo stress fisico perchè i giocatori sono sottoposti a tantissime sollecitazioni che generano infortuni o problemi fisici di varia natura: un giocatore in affaccio, oltre ad avere un corpo senior deve anche imparare a gestire il dolore o una limitazione fisica. Un under che ha paura di spingere a causa di un dolore, si ferma ogni allenamento dopo un contatto, o che non si allena perchè ha paura di farsi male diventa un giocatore inutile e deleterio agli occhi un allenatore senior, e l’incapacità di far fronte al problema di natura fisica lo frena in fase di sviluppo e prospettiva futura.

Il coach in modo provocatorio afferma che in fase di affaccio preferisce il corpo alla tecnica: un giocatore dotato di corpo è più funzionale al lavoro che deve assolvere in allenamento.

3. Requisiti tecnici

La priorità per un giocatore in affaccio dovrebbe essere la padronanza dello spazio e del tempo, ovvero saper dove andare e quando farlo. Quello che definisce un giocatore da clinic, ovvero esemplare da un punto di vista tecnico ma incapace di orientarsi nello spazio e nel tempo, è un giocatore destinato a fare poca strada nel basket senior. 

Il tiro, il palleggio, il passaggio sono strumenti che un giocatore deve acquisire come conseguenza della conoscenza del gioco. Su questo aspetto Carrea ha parlato del suo approccio quando ha iniziato a allenare e di come sia cambiato nel corso degli anni. Agli albori della sua carriera il coach milanese era un maniaco dei fondamentali che proponeva in ogni salsa ai giocatori in sedute di allenamento interminabili, successivamente ha capito come l’orientamento e l’adattamento nello spazio e nel tempo siano la cosa più importante che un giocatore debba sviluppare, prima ancora del fondamentale.

I giocatori in affaccio in una squadra senior all’inizio hanno un ruolo “riempitivo” negli allenamenti, devono farsi trovare al posto giusto e nel momento giusto, sapendo che il loro compito è far funzionare le cose, non necessariamente prendersi rischi o iniziative. Questa abilità vengono definite come “saper stare nel gruppo”: Carrea è disposto ad allenare giocatori non rifiniti tecnicamente, ma che sanno come, dove e quando posizionarsi correttamente in campo. Su questi giocatori è possibile lavorare da un punto di vista tecnico in modo costruttivo e se chiamati in causa difficilmente tradiranno la fiducia riposta.

Da un punto di vista tecnico il coach lancia un ulteriore provocazione: iniziare a settorializzare il prima possibile i giocatori, dotandoli di skills riconoscibili, specializzarli anche precocemente se necessario. Gli allenatori senior hanno bisogno di specialisti e cercano quel tipo di giocatori per rimpolpare i roster, a maggior ragione se Under. 

Uno dei compiti dell’allenatore giovanile nelle ultime fasce di età prima del salto a livello senior è quindi quello di capire qual’è la zona di comfort di un giocatore e fargli intraprendere un certo tipo di percorso: creare specialisti facendo un lavoro certosino e settoriale è quello che permette a giocatori di crearsi una carriera stabile a livello senior. I fuoriclasse alla Gallinari, Belinelli, Datome e Melli sono impronosticabili, talenti generazionali che piovono dal cielo, quello che serve sono i gregari specializzati: rollanti, tiratori, trattatori di palla, rimbalzisti, giocatori abili nel muoversi senza palla, difensori, passatori ecc.

Questi giocatori hanno una concreta possibilità, da un punto di vista tecnico, di trovare la loro strada in fase di affaccio nel basket senior, a discapito di giocatori bravi a fare un po' tutto ma niente bene.

Extra

Durante la conversazione, sono giunti alcuni spunti interessanti dagli allenatore invitati inerenti la fidelizzazione del giovane: una delle tematiche più sottovalutate nell’attività sportiva a livello giovanile al giorno d’oggi è l’abbandono precoce dei ragazzi che spesso arrivano in pompa magna tra i senior ma alla prima delusione si perdono o peggio ancora abbandonano.

Carrea, parlando dal punto di vista dell’allenatore senior, invita i coach di prime squadre a non farsi carico di questa responsabilità perchè ritiene che un ragazzo non deve innamorarsi della pallacanestro quando si affaccia al basket senior, ma il meccanismo deve scattare prima, durante il percorso giovanile. 

L’allenatore senior, specialmente quello di alto livello, ha il compito di fare funzionare le cose facendo determinate scelte, che possono essere positive per un giocatore o negative per un altro. Il compito dell’allenatore giovanile invece è quello di preparare al domani un giocatore, spingendolo al limite per testarne oltre che le capacità anche la passione: è per l’amore per il gioco che un giocatore supera l’ostacolo che ha di fronte, è per l’amore del gioco che un giocatore fa dei sacrifici , è per l’amore del gioco che un giocatore si mette in discussione ecc...

L’abbandono è una conseguenza dell’incapacità dei giocatori di accettare la bocciatura: generalizzando la generazione dei giovani di oggi è molto più protetta che in passato dal rischio del fallimento, dai genitori. E’ però necessario evitare che questo meccanismo si trasformi in alibi per gli allenatori, un qualcosa o un qualcuno da incolpare. In certi casi è opportuno per un allenatore agire sui giocatori senza intermediari e senza interferenze esterne, facendo passare ai diretti interessati il messaggio che un “no” non è per forza un fallimento ma fa parte del percorso di crescita dell’individuo. In questo ambito la “sensibilità” e l'impegno dell’allenatore è cruciale.

La chiusura dell’incontro è un altro spunto di riflessione di Michele Carrea che afferma come il basket sia uno sport tutto sommato “semplice” ma bisogna conoscerlo bene per essere credibili: non esistono opinioni giuste o sbagliate, esistono punti di vista differenti che devono essere portati avanti con cognizione di causa per stimolare una discussione costruttiva.

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Postato da David Breschi

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Graphic & WebDesigner.
Allenatore di base.
Scrive di NBA per @lUltimoUomo.
Will Ferrell & John Belushi lover.