Educare giocando

L’istruttore tra Difficoltà, Diversità e Integrazione.
Educare giocando
Chi è senza bisogni educativi speciali scagli la prima pietra
[Daniela Lucangeli]

Scendere in campo da istruttori equivale a rivestire un ruolo di educatore orientato verso concetti sempre attuali e allo stesso tempo poco espressi e (troppo) spesso omessi dalla nostra programmazione. Questi temi sono espressione profonda del ruolo dell’istruttore, o almeno dovrebbero esserlo. Se vogliamo essere istruttori migliori per i nostri bambini dobbiamo metterci in discussione, stare al passo con il tempo ed essere efficaci nel rendere fruibile l’attività che offriamo.

Ci sono atteggiamenti e comportamenti che possono interferire con l’apprendimento dei nostri bambini, e questo sembra paradossale. 

Eppure, l’istruttore può essere un fattore limitante. Spesso il centro del nostro operato siamo noi stessi, la società per cui lavoriamo e troppo spesso la vittoria o la sconfitta. 

Pensiamo che portandoli tutti i giorni in palestra, risolviamo i nostri problemi. Proponiamo attività che non tengono conto delle differenze tra i bambini, ponendo il nostro focus sul raggiungimento di un risultato piuttosto che sulle strategie di risoluzione dei bambini. 

Dimentichiamo spesso il valore educativo e formativo della pallacanestro come esperienza di vita.  

L’istruttore deve trovare una didattica coerente e programmare con attenzione la promozione di tutte le aree della personalità del bambino. Questo non significa che il nostro ruolo debba essere quello di psicologo in campo, ma dovremmo riuscire a diventare più di acuti osservatori. 

In qualità di professionisti dobbiamo tener conto dei diversi punti di partenza e personalizzare le proposte per dare a tutti la possibilità di apprendere, magari in tempi/stili diversi. 

Il bambino, così, potrà raggiungere la consapevolezza di sé e dei suoi errori, sentirsi responsabile di ciò che fa. Il nostro compito è guidare tutti i bambini verso la loro autonomia nel gioco e nella vita.

La gestione dell’attività da parte dell’istruttore non può essere neutra, poiché potrebbe aggravare o affermare le difficoltà e diversità dei bambini. Possiamo essere l’ago della bilancia tra noia e interesse, tra paura e motivazione. 

Se un istruttore aiuta invece di giudicare, se fa sorridere, condividere con allegria, sfidare i limiti con interesse, allora imparare sarà un’esperienza positiva.

In quest’ottica abbiamo il compito di promuovere il successo e di riuscire a far produrre (e non riprodurre) tenendo conto che il rapporto tra bambino e istruttore deve far accrescere dignità e rispetto di sé nel bambino. 

Non dimentichiamo che l’istruttore/educatore tanto può incentivare la motivazione dei bambini quanto può demotivare, far crescere senso di abbandono e rifiuto, determinare fiducia e rispetto come anche sfiducia e diffidenza. Ritagliamo del tempo all’ascolto attivo, saper ascoltare con un elevato grado di attenzione e partecipazione comunicativa, a sostegno dell’apprendimento del bambino.

Il bambino è il nostro riferimento, le competenze verso le quali dobbiamo accompagnarlo sono l’obiettivo a cui tendere, ma l’istruttore deve riconoscere, verificare e adeguare le proprie competenze, al fine di:

  • Creare un ambiente capace di sostenere il bambino;
  • Costruire un periodo lungo e intenso di formazione;
  • Essere una guida capace di incoraggiare e stimolare. 

A volte dovremmo ricordarci di lasciare che i bambini possano esprimersi liberamente in un contesto che sia adeguato

Condividiamo l’idea che non esistono bambini “diversi”, ma sono solo alcuni dei loro comportamenti che vengono considerati inadeguati nell’ambiente cosiddetto “normale”?

Guardiamoci bene dal sottovalutare l’unica cosa sulla quale possiamo agire personalmente: la solitudine e il senso di vergogna del bambino che non capisce, perso in un mondo in cui gli altri capiscono. Solo noi possiamo tirarlo fuori da quella “prigione”, al di là del fatto che possiamo essere formati o meno per farlo.

I bambini sbagliano! Ma l’errore definisce la loro identità??

Troppo spesso non diamo la dovuta importanza a tutte le componenti dell’azione dei bambini.

Le differenze e le diversità in campo le attribuiamo a risposte motorie date in base a ciò che vediamo: la parte visibile (la soluzione motoria del compito). 

L’aspetto fondamentale, che noi istruttori non consideriamo abbastanza, riguarda la COMPONENTE EMOTIVA/COGNITIVA (il perché delle loro azioni). 

Le emozioni positive, che derivano dall’esercizio delle proprie conoscenze e abilità, rinforzano la motivazione intrinseca, che si manifesta nei nuovi tentativi di padronanza di tali conoscenze e abilità. L’emozione si lega come parte integrante nel processo di apprendimento inteso come flusso di azioni: da FUORI a DENTRO (stimolo dato dall’istruttore in funzione di un compito) e da DENTRO a FUORI (la soluzione motoria del compito). Questo è quello a cui diamo più importanza. Ciò che invece deve stimolare la nostra attenzione è la parte invisibile della soluzione motoria del compito, la rielaborazione personale delle conoscenze da DENTRO A DENTRO (la ricezione dello stimolo, la sua elaborazione, l’analisi e il confronto con l’esperienza).

Quindi l’errore è un sintomo? Oppure un indicatore, un’informazione riguardo l’apprendimento del bambino? E dunque, come utilizzare l’errore?

  • Diventare alleati dei più piccoli;
  • Evitare noia e ripetizione;
  • Valorizzare la creatività;
  • Dare importanza all’efficacia del sorriso e dell’incoraggiamento.
  • Creare un ambiente adeguato, mirando alla possibilità di successo di tutti i bambini.

Ad oggi gli studi sulla relazione che c’è tra il sistema emotivo e quello cognitivo evidenziano che: un’esperienza emotivamente significativa offre l’opportunità di apprendere meglio e con maggiore stabilità. Uno stimolo emotivo misto ad uno cognitivo induce la motivazione ad apprendere incrementando le competenze socio-relazionali.

L’istruttore che vuole lasciare una traccia tangibile del suo insegnamento, ha quindi la necessità di cambiare prospettiva della sua metodologia, da una didattica stimolo-problema ad una didattica situazione-problema (mettere i bambini in condizione di produrre soluzioni personali mettendo in gioco conoscenze e capacità che possiede in quel momento).

Se ciò che so non è sufficiente per aiutarlo nel suo apprendimento, devo sapere di più. Devo andare più a fondo
[Daniela Lucangeli, “A mente accesa”]

Quando un bambino non riesce a correggere i propri errori, non dobbiamo pensare che sia lui l’unica causa. Con il nostro agire potremmo aver contribuito involontariamente: credere che dietro l’errore ci sia per forza una colpa o una patologia, giudicare, misurare la prestazione piuttosto che il potenziale di apprendimento può essere un problema.

Dobbiamo condividere! Prima di etichettare, di attribuire deficit di apprendimento o presunte limitatezze ai nostri bambini dovremmo provare a modificare tutte le strategie didattico - operative di cui siamo a conoscenza.

Le difficoltà o le diversità tendono a creare negli istruttori, educatori e genitori una carente motivazione improntata sulla rassegnazione e sul pessimismo: questi bambini purtroppo non sono in grado di apprendere, purtroppo non sono in grado di stare attenti per più di qualche minuto, l’importante è che facciano esercizio.

Abbiamo il compito di esserne coscienti e adattare la nostra proposta con accorgimenti e strategie di insegnamento:

  • vedere e valutare le qualità e non i limiti;
  • adattare l’ambiente ai bisogni;
  • introdurre gradualmente le difficoltà;
  • consolare e rassicurare sia verbalmente che non;
  • evitare le ripetizioni meccaniche;
  • valorizzare la prestazione e non il risultato, l’impegno piuttosto che il successo;
  • programmare il tempo (il ritmo di apprendimento non è costante durante una stessa lezione ed è strettamente legato alla personalità del bambino);
  • evitare di dedicare troppo tempo alla trattazione di uno stesso gioco;
  • concedere frequenti pause se necessario;
  • utilizzare procedure didattiche differenziate (piccoli gruppi, individuali) e diverso materiale. 

Non è corretto professionalmente lasciare al caso, alla paura o alla convergenza di fatti fortuiti, il compito di modificare i comportamenti di chi mostra difficoltà o diversità. Dunque il nostro obiettivo è quello di rendere l’insegnamento fruibile a tutti(integrazione).

Arrivati a questo punto vorrei lasciarvi qualche spunto di riflessione:

  • quanto sono “integrati” o non hanno “difficoltà” quei bambini che eseguono precisamente ciò che noi gli chiediamo di fare?
  • È “diverso” un bambino che non riesce a fare ciò che noi pretendiamo?
  • Pensate che sia poco “integrato” un bambino che fa le scelte, seguendo il suo carattere e le sue capacità e riesce a realizzare ciò che lui ha deciso di fare?
  • E quanto sono “diversi” quei bambini che seppur con i loro limiti usano la loro testa, le proprie intelligenze, la propria fantasia, e così giocano e si sentono protagonisti?
  • È “integrato” un bambino che utilizza i 4 fondamentali senza sbagliare mai?
  • e NOI quanto ci sentiamo “integrati” con i bambini che, seppur con i loro limiti indefiniti, lezione dopo lezione, scoprono, imparano e crescono grazie ai nostri insegnamenti?

Il bambino può e deve essere PROTAGONISTA del proprio apprendimento. L’attenzione troppo spesso è centrata su chi allena/insegna e sull’allenamento/insegnamento piuttosto che sull’apprendimento. La metodologia attuata, qualunque essa sia, ha il compito di generare la CONSAPEVOLEZZA dei numerosi “quando” e “perché” che il gioco ci pone, dei gesti e dei movimenti.

La magia del gioco e dello sport è scoprire, giocando, di essere in grado di saper fare. 

Lo sport deve essere un’emozione che può accompagnare a lungo la vita dei nostri bambini. 

Lo sport dei bambini non deve diventare la copia della realtà agonistica adulta. I bambini hanno il diritto di essere bambini e per lavorare con loro dobbiamo capire quali sono le loro caratteristiche e i loro bisogni, dobbiamo trovare i canali comunicativi adatti e le modalità di intervento più giuste. Quando programmiamo la nostra attività abbiamo la responsabilità di porre attenzione su chi sono i bambini che abbiamo in campo, valorizzando la loro individualità. 

La diversità è ricchezza!

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Postato da Claudio D'Errico

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Istruttore Nazionale. Docente e Formatore Minibasket FIP regione Lazio.
Responsabile Settore Minibasket e Scuola Anzio Basket Club.
Laureando in Scienze Motorie e Sportive.
Perdutamente innamorato dei Bambini e della Pallacanestro